Peter Molyneux

Peter Molyneux è libero (e odia “i fottuti joypad”)

di • 10 marzo 2012 • Senza categoriaCommenti (0)1394

Va bene, io mi sono ripreso. Ho fatto mente locale, ho ragionato, ho somatizzato, interiorizzato, deglutito, metabolizzato. E ho capito: l’abbandono di Lionhead Studios e Microsoft da parte di Peter Molyneux è cosa buona e giusta. Avevo già avuto la stessa impressione a caldo, l’altro giorno. Ma ora che è tornato a parlare (la sua specialità) come una volta ne ho praticamente la certezza.

Prima di arrivare alle sue ultime dichiarazioni… No, non ultime come le ultime preghiere prima di morire. Non è morto, ve l’ho già detto l’altro giorno. Insomma, prima di parlare di questa sua ultima sparata sui joypad, vorrei condividere con voi il mio pensiero. Personalmente, ho sempre ritenuto Molyneux una persona interessante ancor prima che un game designer talentuoso. Sarà perché ho avuto modo di intervistarlo un paio di volte, sarà una cosa inconscia, chi lo sa. Ma in generale, penso che il talento del game designer vada di pari passo con il suo modo di essere; e Peter è un visionario, uno davvero convinto di quel che dice e per questo in grado di convincerti. Uno dei pochi.

Come quando all’E3 del 2009 rimasi abbindolato dalle sue promesse su Milo & Kate, uno dei tanti progetti/sogni firmati Molyneux ad essere rimasti sotto chiave in un cassetto, chissà se in casa Lionhead o in casa Microsoft. Propenderei per quest’ultima, però. Perché non tutti sanno, o forse non hanno notato, che quella stessa tecnologia è viva e vegeta in molti titoli Kinect. Insomma, a qualcosa è servita e a qualcos’altro, di sicuro, potrà servire.

Molyneux oggi torna a essere libero di esprimere le sue visioni e i suoi sogni senza l’avvoltoio Microsoft sulla spalliera della sua poltrona. Libero di tornare a sognare e farci sognare. E chi se ne frega se l’80% dei suoi sogni restano tali. Come quel BC che sulla prima Xbox avrebbe dovuto riportarci all’età della pietra, letteralmente e videoludicamente: ancora la ricordo quella dimostrazione giocata e quel tuffo spettacolare dalla scogliera, con T-Rex e Pterodattili sullo sfondo. Non ci ho mai giocato a BC, nessuno lo ha mai fatto. Eppure è come se l’avessi fatto. E a volte lo rivedo, quel tuffo, nel volo d’angelo di Altair in Assassin’s Creed. Lui però si butta su un cumulo di paglia, io avrei preferito l’acqua di quella cascata preistorica con T-Rex e Pterodattili sullo sfondo.

Fable: The Journey

Chissà cosa farà dopo Fable: The Journey, con la sua neonata 22Cans. Qualcosa, quella sua ultima-non-ultima dichiarazione, mi lascia intuire che Kinect resterà al centro del mondo di Peter, perché lui i joypad li ha sempre odiati, tanto da inventarsi il gameplay a singolo tasto (Fable II), ma oggi ha proprio sbottato. Come si fa alla fine di un’esperienza costrittiva, quando finalmente ti senti libero. Vestendo per un attimo i panni di un Cliff Bleszinski qualunque (non per i contenuti, quanto per i toni), ha detto che è “annoiato a morte dai fottuti controller“.

“[Un controller] ti permette di sperimentare più o meno come un mattone, oggigiorno. Perché sapete com’è, qualsiasi gioco tu stia giocando, prendi in mano il controller e fai la stessa cosa. Il tuo pollice va qui, non puoi muoverlo in questo modo, puoi solo muoverlo in quest’altro”.

“Il tuo dito va qui, premi il grilletto, e ti aspetti che una freccia venga scagliata, un colpo sparato da una pistola, qualunque cosa sia, e tu usi sempre il tuo dito. Tutto qua. Tutto qua. E questa è tutta l’esperienza, nella sua totalità. Il 100% della tua esperienza in questi giochi consiste in ciò che fai con quel pollice e quel dito. È spazzatura”.

Parole che ogni videogiocatore ha pensato almeno una volta nella sua vita, anche se non lo ammetterà mai. Ma io sono pronto ad ammetterlo, qui e ora. È il momento di andare avanti, di trovare (e provare) nuovi modi di interagire con i mondi virtuali. Che si chiamino Kinect o iPad, poco importa. L’importante è sperimentare; e Peter, checché se ne dica, è uno che sperimenta. Non ha paura a farlo, non ha paura di sbagliare (tant’è che spesso lo ha fatto). Ecco perché è un bene che abbia lasciato Microsoft. Anche per la stessa Microsoft.

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