Max Payne 3

Max Payne 3, per la serie “se vogliamo che tutto rimanga com’è bisogna che tutto cambi”

di • 5 settembre 2012 • RecensioneCommenti (2)2473

Avete presente il calcio rotante di Chuck Norris? Ecco, il calcio con cui Max Payne 3 spazza via anni di critiche e polemiche fondatissime ha più o meno la stessa intensità. L’intensità di un fulmine, della pioggia battente, della sbornia presa a colpi di whisky in un appartamento “vissuto” nella San Paolo dei giorni nostri. Del Brasile frenetico che cresce più in fretta della sua gente e che ha bisogno della guida degli interpreti della civiltà, i soliti americani.

Ma Max Payne non è il solito americano. O almeno, non è il solito americano punto. È il solito americano da noir, è l’ombra del personaggio costruito da Remedy, abbattuto da Rockstar e ormai rassegnato al suo destino, al punto da sfuggirgli. Qualunque esso sia. È così che il poliziotto cui hanno ucciso moglie e figlio abbandona la pista della malvagia multinazionale farmaceutica per abbracciare una nuova missione, che lo porta dritto dritto in Sud America, in una vita diversa ma nemmeno tanto, neppure quanto si potesse immaginare. Perché Max Payne 3 è diverso ma nemmeno tanto, neppure quanto si potesse immaginare qualche anno fa, quando la data d’uscita era affidata a un laconico e triste, tristissimo “inverno 2011”. Quando gli sviluppatori di Vancouver ci passavano quelle immagini à la Uncharted, con un protagonista calvo e barbuto, e un banner dal logo così banale che pareva essere stato partorito dalla mente di un bimbominchia alle prime armi con Photoshop. Quanto tempo è passato da allora? Uno, due, tre anni? Non lo ricordo. Oggi, messe le mie avide manacce sul gioco, quei giorni sembrano così lontani ma, di nuovo, non lo sono nemmeno tanto.

Parliamoci chiaro. Quello proposto da Rockstar è il solito capolavoro di fine maggio, seguito nel clamoroso triplete che condivide con Red Dead Redemption e L.A. Noire da sua maestà GTA V (chi vivrà vedrà), che percorre un iter ormai noto ai più: rumor, annuncio, allarme cancellazione, uscita. Un iter che mi sta bene e che auguro a tutti gli altri giochi in cui nutro delle speranze, se i risultati sono questi. Quello proposto da Rockstar, dicevo, è un prodotto fantastico dalle mille sfumature diverse, sebbene incalanato in un binario da TPS che oggi non stupisce come fece, nei primi anni 2000, il bullet time.

Lo stacco lievissimo con cui si passa dal filmato introduttivo a quello di inizio campagna single-player è il preludio all'assenza di "barriere architettoniche" nel gioco stesso

Cominciamo dai dettagli che rendono unico questo titolo. L’ingresso a freddo nell’azione e, spesso e volentieri, all’interno delle sparatorie stesse dà un tocco di inatteso realismo, trasforma in “naturale” l’evolversi delle vicende, filtra il passaggio da cut-scene a gioco vero e proprio. Elimina, per così dire, le barriere architettoniche che separano abitualmente la scena d’intermezzo e il gameplay, fonde premessa e svolgimento, narrazione e narrato. Ne consegue che l’utente non può mai distogliere lo sguardo dallo schermo perché perennemente colto di sorpresa, molto più che con i QTE tanto in voga nell’attuale generazione di videogiochi – a volte funzionano, altre no. È questo il primo colpo messo a segno da un regia curatissima.

Il secondo è un mix di direzione artistica e videoludica. “Resuscitare”: quante volte abbiamo sentito questo termine nelle recensioni di sparatutto e affini. In Max Payne 3 questo assume un significato completamente nuovo. Si “resuscita” solo se si riesce ad eliminare entro limiti temporali ben definiti colui che ha sparato per primo e se il numero di antidolorifici a disposizione non è pari a zero. I meriti di una simile scelta sono molteplici: non bisogna stare lì a fissare la barra dell’energia – all’inizio spiazza, nonostante sia identica a quella vista nei primi due episodi -, si lascia che sia il giocatore a guadagnarsi la sua “seconda possibilità”, si sfrutta in un modo alquanto intelligente il bullet time tanto temuto quanto riverito. Mi piace.

Terza chicca, continuare a sparare all’ultimo nemico sulla mappa anche dopo la sua morte, quando è ancora inquadrato dalla camera virtuale. Molti hanno letto nella kill cam un espediente utile solo a tranquillizzare i giocatori, reo com’è di segnalare la completa pulizia dell’area e la possibilità di scorrazzare senza temere rappresaglie avversarie. Un inutile calo di suspence, insomma. Io ci vedo piuttosto l’opportunità di “invadere” la regia del gioco. Di dare vita alla propria scena cult, come se si fosse in un film qualunque della trilogia de Il Padrino, e crivellare di colpi il malcapitato di turno. Se lo si vuole. Altrimenti si assiste all’ennesima morte dell’ennesimo sparatutto, e si rinuncia a qualche risata in compagnia – è la prima cosa che ho mostrato agli amici.

Non poteva mancare il cover system à la Gears of War, croce e delizia del gioco al pari del taglio scelto da Max nella seconda parte dell'avventura

Passando dal particolare all’universale, come dicevano i filosofi, ho qualche altro appunto da segnalarvi, principalmente sull’evoluzione della serie in campo “next-gen”. Pensare di proporre nel 2012 le vignette di Max Payne 1 e 2 era forse un tantino rischioso, tenendo presente il ritmo pazzesco assunto dagli sparatutto in terza persona. Per cui Rockstar ha studiato un metodo tutto suo per collegarsi alla nuova tradizione dei TPS senza perdere il filo del passato: strisce che evidenziano sullo schermo le parole chiave dei discorsi, bruschi stop che fermano l’azione in vignette. Potrebbe non convincervi a naso ma, assaggiando qualche porzione di gioco, avrete subito il feeling di Max Payne, direte al primo colpo “sì, questo è Max Payne, perché nonostante le diversità emerse lungo il cammino – aka sviluppo travagliato – c’è una fedeltà di fondo alla massima per la quale “se vogliamo che tutto rimanga com’è bisogna che tutto cambi”. In questa logica si inseriscono alla perfezione i flashback, svelati dagli sviluppatori di Vancouver per salvare la barca dalle tempestose polemiche pre-release, che hanno una duplice valenza: mostrare che effettivamente il nuovo gameplay è la miglior trasposizione possibile di quello acclamato nelle precedenti iterazioni e far emergere la bontà, oserei dire la necessità della storyline e dell’ambientazione inedite. Perché “bisogna che tutto cambi”, che un genere esploratissimo nel mondo della letteratura ma ancora immaturo nei videogiochi, il noir, possa trovare sbocchi mai provati anche sotto la calda luce del giorno brasiliano, anche nei colori vivaci delle camicie hawaiane. Una mossa rischiosa, certo, ma che coraggio c’è voluto, che rischio che si sono presi questi ragazzi. Bravi.

E, guardando al passato glorioso, è giunta finalmente l’ora del bullet time, che ho già citato qualche riga fa. La domanda che si ponevano tutti: è stato utilizzato degnamente? La risposta è , e anche in questo caso sono due le voci che completano il mio giudizio in tal senso: in sé e per sé, il BT è fondamentale e mi ha salvato la pelle in un mare di circostanze, specie quando la mappa è aperta – capita spessissimo – e piena di nemici; in relazione col resto del gameplay, vale a dire col sistema di copertura mutuato da Gears of War e soci, non mi ha convinto appieno. Soprattutto perché la sua presenza ha portato al taglio degli spostamenti rapidi da riparo a riparo e perché l’Euphoria, un motore fisico sempre più credibile nelle movenze dei personaggi, soffre terribilmente gli spazi stretti a causa del forse eccessivo carico affibiato al protagonista – un problema emerso ancora più lampante nelle fasi da shooter di Grand Theft Auto IV, dove il lag tra richiesa del giocatore e risposta corporea dell’omino sullo schermo era ancora più elevato, fastidioso. Quindi è ok la giustificazione del “Max è un ubriacone e non ha l’agilità di Nathan Drake”, ma non c’era bisogno di scadere nel frustrante specie, ripeto, nei livelli al chiuso (penso allo scenario degli uffici a San Paolo).

Un’ultima citazione, stavolta al merito, va al numero di contenuti inclusi: tra single-player, con due tipi diversi di collezionabili (indizi e pezzi d’oro per le armi) e varie difficoltà, e un multiplayer molto corposo a cui Rockstar ha volutamente dedicato parte della sua campagna promozionale, Max Payne 3 si piazza di diritto nell’Olimpo dei pochi titoli story-driven ad avere senso anche a quest principale completata. Onore anche al publisher nordamericano per non aver aderito, almeno stavolta, alla stupida logica dell’Online Pass: un messaggio positivo di fiducia nell’utente all’epoca del dilemma DRM sì/DRM no.

Come avrete capito, l’opinione che mi sono fatto di MP3 – fate pure le vostre battute sul formato musicale – è estremamente positiva e credo dovreste condividerla in particolar modo se appassionati dei due predecessori firmati Remedy. Rari limiti tecnici a parte, che non svettano comunque in un comparto audiovisivo di prim’ordine, gli standard Rockstar sono stati rispettati e il buon nome del franchise mantenuto. Cosa volete di più dalla vita?


Sviluppato da Rockstar Vancouver e pubblicato da Rockstar Games, Max Payne 3 è disponibile dal 18 maggio per Xbox 360 e PS3; in seguito è stato rilasciato anche in versione PC.

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  • http://www.facebook.com/profile.php?id=1612345231 Roy Ionta

    Anche io la penso allo stesso modo, hanno fatto un ottimo lavoro ma NON SONO LA REMEDY. Ci hanno provato, hanno fatto del loro meglio, avrebbero dovuto mettere altri piccoli particolari… tuttavia! Sarebbe bello se la Remedy facesse una versione sua di Max Payne 3, quindi prendendo tutto ciò che è bello e moderno del titolo della Rockstar Games e adattarlo al loro stile, quindi parlo di un cambiamento di un pò di tutto, trama, età di Max, quindi fase temporale, poi che so, il ritorno dei suoi incubi magari? Sarebbe il massimo secondo me!

    • PaoloSirio

      In un discorso ipotetico e un po’ utopistico, sì, sono d’accordo con te: Remedy avrebbe fatto non meglio, ma nel suo stile che a noi boxari (Alan Wake!) piace un sacco. Un bel noir, sullo stile dei primi due episodi e del film. Fantastico.

      La realtà però è un’altra: Remedy ha venduto Max Payne per poter lavorare a nuove IP (Alan Wake!), e questo significa che aveva praticamente detto tutto sul franchise. Magari ci saremmo ritrovati con un more of the same dei più criticabili, se c’avessero lavorato loro senza troppa voglia o ispirazione – come succede ai giorni nostri, in effetti. 

      Per questo l’approccio di Rockstar, nuovo e in qualche modo più longevo (un Max giramondo e simili), è un approccio di respiro molto più ampio. E alla lunga vincente, specie sul mercato. 

      Tutto naturalmente imho, tu che ne pensi?