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Se ci pensate, la storia di Child of Light è piuttosto insolita. Voglio dire, in un mondo in cui i giapponesi si fingono occidentali, sono proprio gli occidentali a risalire il fiume della – perdonate il termine – giapponesità, ripercorrendone le orme, simulandone l’evoluzione passo dopo passo.

Child of Light, edito da Ubisoft, è sintomo di questa voglia, figlio della volontà di avere qualcosa, di entrare in un mercato creato e poi inspiegabilmente abbandonato dagli asiatici. Diceva bene il nuovo presidente di Square Enix, qualche tempo fa: ok l’apertura a quel “nuovo” grande mercato che è l’Europa, ma il successo di Bravely Default, autentica e inattesa hit nordamericana, dove lo mettiamo?

UN GIOCO MEDIAMENTE SPLENDIDO

L’Occidente per i giapponesi è un po’ come le donne: quando pensi di averle capite, in realtà non hai capito proprio niente. Per evitare figuracce, però, ci puoi andare cauto. Fare un primo tentativo senza grosse pretese. Ed ecco che torniamo a Child of Light, allora, alla sua inaspettata nascita. I temi di questa recensione saranno essenzialmente due: la “formula UbiArt”, quella inaugurata con Rayman Origins e che pare, speriamo, si voglia riproporre con Prince of Persia; la profondità che questa stessa formula è in grado di offrire.

Partiamo dall’inizio, allora. L’UbiArt Framework è un motore fantastico, offre tantissime opportunità perché si presta praticamente a qualunque cosa voglia e possa ambire ad elevarsi a prodotto artistico. Per dire, ho l’impressione che questo engine potrebbe calarsi a pennello su un noir così come su un gioco di fiabe, qual è Child of Light. Visivamente parlando.

L’aspetto videoludico è un tantino diverso. Non entro nel merito tecnico perché ancora così poco si sa della (relativamente) nuova tecnologia e non è questa la sede per approfondire una simile tematica. Di certo, da un punto di vista videoludico, la cosa importante, o almeno quella che ci interessa di più, è il gameplay e quanto questo fantastico abito possa essere cucito da un lato su misura, dall’altro in modo tale da non risultare troppo stretto e limitante. Ecco cosa intendo. Child of Light è un gioco mediamente splendido, ma non approfondisce nessuno degli aspetti che lo rendono tale.

Il mio dubbio è: questo dipende dalla natura digitale del gioco, dal fatto cioè che costa appena €20 e da un gioco di €20 non ci si può aspettare la profondità di una tripla-A in senso stretto, o da un limite intrinseco dell’intero progetto UbiArt? Io propenderei per la prima soluzione ma è chiaro che, di fronte agli esempi degli ultimi due Rayman (proposti entrambi a prezzo budget), una convinzione simile potrebbe ben presto vacillare.

A prescindere da questi dubbi, comunque, la verità è quella cui accennavo poc’anzi – siamo di fronte a un gioco che ha tanti spunti brillanti, come da premesse e promesse dei mesi scorsi. Il sistema di combattimento, arricchito dagli Oculi determinanti solo contro alcune creature e non programmato per restituire loot alla fine degli scontri, è curioso e semplice di concezione, ma non solo. Sa semplificare ogni suo meccanismo grazie ad espedienti come Igniculus, una sorta di fatina dalla duplice funzione: se posta sopra i membri del party, restituisce loro punti vita; sul nemico, invece, ne rallenta la corsa al traguardo che gli permetterebbe di spiccare il proprio attacco. Igniculus non gira a costo zero, perché alimentato da gemme sparse per le ambientazioni, ma con almeno tre tornate di “carburante” a disposizione è davvero difficile restare a secco.

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Grafica, ambientazioni e dialoghi sono, poi, fuori dal comune. Sembra di fissare un quadro, piuttosto che un videogioco, e questo è essenzialmente merito della formula UbiArt di cui parlavamo prima. Al di là di questa, però, la mano dell’artista c’è e si vede: le location disegnate a mano sono colorate e di tanti colori diversi, nessun aspetto è lasciato al caso, persino i discorsi dei personaggi sono contestualizzati appieno – quando altri si sarebbero fermati a protagonisti silenziosi. C’è dell’ironia in tutto questo, con battute eseguite tutte in rima e un sistema, un mondo che, nel riconoscere se stesso, sa anche cos’è l’estraneo e prova in tutti i modi a raddrizzarlo. Anche questa una fantastica metafora di come il mondo, stavolta il nostro, gira e rigira sempre per uniformarsi.

ALLE SOGLIE DELL’OTTO

Quello che stoppa Child of Light alle soglie dell’otto, però, è la linearità. L’esperienza ludica è di per sé poco varia, cosa anche accettabile dal momento che si parla sostanzialmente di un JRPG (per di più bidimensionale), ma è pure appesantita dall’estrema piattezza – contenutistica, certo non visiva – di un design al quale non basta il palliativo dei collezionabili per uscire dai suoi schemi. Parte della “colpa” va data ad una trama che, nella sua meravigliosa e fiabesca elementarità, fatica ad assegnare compiti specifici al giocatore, a dargli, se vogliamo, un motivo per scoprire cosa c’è dopo.

In qualunque campo dello scibile – è vero? – ci sono cose più belle da ferme che in movimento. Così come esistono videogiochi che rendono di più in immagini piuttosto che nei filmati proposti dagli sviluppatori. Child of Light non sembrava uno di questi, in-motion è sempre parso davvero in forma, e se dovessi dire che pad alla mano delude… semplicemente non lo direi.

La bimba della luce affascina e commuove come una vecchia fotografia. Se però vi aspettavate l’erede di Final Fantasy, o comunque un esponente elaborato del genere ruolistico à la giapponese, forse dovrete virare l’hype su altre produzioni.


Child of Light è sviluppato da Ubisoft Montréal e distribuito in formato esclusivamente scaricabile da Ubisoft. Il gioco sarà disponibile al prezzo di €14,99 dal 30 aprile per PC, PS3, PS4, Wii U, Xbox 360 e Xbox One, versione su cui è basata la recensione di XboxWay.

Commenti A te la parola, boxaro... Ehm, lettore, pardon.
  • vegetas

    Spero che questa volta non ci siano differenze tra i vari formati (xbox one – ps4) visto la vergognosa differenza di trials fusion, vedendo poi che strider su xbox one, a il filtro anisotropico (che migliora la qualita’ delle texture) assente nella versione ps4.

  • MAPO78

    giocato, anzi divorato in due giorni di gioco forsennato! Unico difetto: alcuni achievements buggati che non ne vogliono proprio sapere di sbloccarsi! nei suoi evidenti limiti mi è davvero piaciuto!

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