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Più passa il tempo e più ne sono convinto: è nella narrazione e nelle emozioni che derivano da essa che risiede la vera next-gen. Non me ne vogliano i titoli tripla A, quelli multiplayer che tanto amo o le mastodontiche produzioni all’avanguardia della tecnica, ma io mi diverto di più a passare una serata con The Walking Dead.

Quando in una discussione da bar (più o meno) arriva l’appassionato di videogiochi che parla tra le altre cose, con fare quasi saccente, del videogame come nuovo medium, professandosi difensore e paladino di un mezzo bistrattato “come all’epoca era il cinematografo” di cui noi giocatori attuali saremo “i precursori”, quasi rido. Perché? Beh, perché in primis mi rendo conto di quante volte l’ho fatto anche io e poi perché realizzo quanto questa forma di intrattenimento non abbia più bisogno di essere protetta: ci sono i fatti che parlano per lei. Uno di questi fatti è per l’appunto The Walking Dead, una delle poche produzioni di cui da lettore non vorrei leggere alcun parere perché ormai mi fido ciecamente di Telltale Games.

Per questo motivo nei caratteri che seguono cercherò di esprimermi quanto più apertamente al riguardo, sempre cercando di evitare spoiler clamorosi. Perché vorrei che lo giocaste prima di tornare qui per leggere cosa ne penso e  scambiare due chiacchiere nei commenti – vi va?

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C’è spazio per i vivi?

The Walking Dead è fumetto, televisione e cinema, ma di quelli interattivi e, in quanto tale, videogioco. E, insieme a The Wolf Among Us, è anche il motivo per cui ancora credo nelle storielle che raccontano di quanto siano maturi e narrativamente incomparabili i giochini per bambini. E forse anche il motivo per cui un giorno vorrò farmi quattro risate stringendo la mano a David Cage per incoronarlo re del trash contemporaneo – la sezione in quel di Navajo di Beyond a mio parere rimarrà scolpita negli annali del genere.

Dopo l’incipit del primo episodio, in A House Divided la storia procede con i suoi soliti imprevisti, le situazioni ad alto carico di tensione e i rapporti umani che si radicano sempre più nei personaggi. In All That Remains abbiamo conosciuto la piccola Clementine nei panni di protagonista fin troppo cresciuta, al punto da essere in grado di badare a se stessa. In questo secondo appuntamento con la seconda stagione troviamo una Clementine ancora più matura, quasi più dei suoi compagni, capace per esempio di allontanare lo sconosciuto “vicino di casa” (doppiato da Michael Madsen!) o di accompagnare il braccio forte del gruppo nella traversata sul ponte alla scoperta del nuovo luogo in cui rifugiarsi. Un personaggio caratterizzato come pochi altri e che mi ha fatto pensare a diverse sfaccettature nella trama dell’universo di Robert Kirkman.

Nel mondo di The Walking Dead non c’è più spazio per la speranza, ma solo per la sopravvivenza in dei luoghi dove le persone, sempre più sull’orlo del baratro e senza alcun briciolo di sanità mentale, pensano a far quadrare i propri conti, invece di unirsi e lottare insieme per raggiungere uno scopo che sia diverso dall’arrancare vivendo alla giornata. E mi riferisco in particolare al fatto che non ci sia alcun personaggio che faccia cenno all’eventuale presenza di scienziati in cerca di una cura o che voglia, senza totalitari fini personali, fondare una città gremita di gente che voglia placare e resistere alla minaccia zombie.

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C’è spazio solo per la morte, un avvenimento scontato, quasi banale, che può sopraggiungere allo stesso modo su soggetti nuovi o conosciuti da tempo e a cui il giocatore è abituato. Al punto di farmi credere che il significato del titolo si riferisca agli umani e non ai cosiddetti walkers. Ci ho pensato in particolar modo quando Clementine si avvicina allo stereo e ride o quando incredula guarda il camino e la cura posta nell’arredamento dell’edificio in cima alla montagna.

In conclusione

Insomma, avrete capito che questo A House Divided, con la sua scrittura impeccabile e certi spunti alla regia che mi hanno letteralmente fatto spalancare la bocca a terra, mi è piaciuto. Il gameplay ormai collaudato mette in scena una narrazione incredibilmente solida, che arriverà sempre al punto in cui gli sviluppatori avranno deciso di arrivare, ma solo seguendo le vostre scelte, i vostri affetti e le vostre antipatie. Sopravvivere in un mondo post-apocalittico a base di zombie non è mai stato così bello. E il meglio deve ancora venire.

Commenti A te la parola, boxaro... Ehm, lettore, pardon.