Shadows of the Damned: Risate infernali

di • 11 luglio 2011 • RecensioneCommenti (0)2072

È un videogame, ma si auto-definisce un road movie. È ambientato all’inferno, ma fa ridere (oh, eccome se fa ridere). Il protagonista ufficiale è un messicano, ma quello vero è decisamente inglese (potremmo dire fino al midollo, se mai l’avesse). Si potrebbe continuare per ore con questa serie di sconclusionati parallelismi, ma tagliamo la testa al toro. Anzi, no, alla capra (forse capirete, leggendo oltre): il gioco in questione è Shadows of the Damned, l’ultima creazione di Grasshopper Manufacture pubblicata da Electronic Arts per Xbox 360 e PlayStation 3.

Parlando di Grasshopper Manufacture ci riferiamo, inevitabilmente, a “Suda 51” (al secolo Goichi Suda), creatore di Killer 7 (e di tanta altra roba) ancor prima del più venduto No More Heroes e del relativo sequel. Al calderone, però, stavolta bisogna aggiungere un altro nome, sempre dal Giappone. Anzi, altri due. Quello di Shiniji Mikami (creatore di Resident Evil, mica bau bau micio micio) e Akira Yamaoka (musiche di Silent Hill), che naturalmente si è occupato della colonna sonora. Un bel ménage à trois videoludico che ha prodotto uno dei giochi più irriverenti degli ultimi mesi.

Ma cos’è Shadows of the Damed? Potremmo definirlo – oltre che nella miriade di modi già utilizzati in apertura – una strana fusione tra Devil May Cry, Resident Evil e Alan Wake, con un tocco di stile tipicamente tarantiniano (sangue incluso) e una pesante (in senso positivo) dose di humor inglese. Sarcasmo infernale, chiamiamolo così. Che è poi quello che contribuisce, in un certo senso, a un’inversione di ruoli, almeno sul piano narrativo, tra protagonista e aiutante; tra Garcia Hotspur, ammazzademoni messicano alla ricerca della fidanzata rapita (Paula), e Johnson, teschio fluttuante – capita la mancanza del midollo? – ed ex-demone con la fissa per le armi. Insomma, è il personalissimo coltellino svizzero di Garcia: può prendere le sembianze di una pistola così come di un lanciagranate, e non solo. Ma è lui il vero protagonista, parliamoci chiaro: senza le sue battute, il viaggio infernale di Garcia non avrebbe mordente (aggettivo casuale, giuro), anima (aridaje), carattere (ecco).

Quello che abbiamo, a conti fatti, è un survival-horror con l’atmosfera di un b-movie. Alla base di tutto c’è la (classica) opposizione tra luce e oscurità che, come nel caso di Alan Wake, influisce in maniera più che decisa sulla natura del gameplay: al buio, a meno di non nutrirsi dei cuori umani sparsi qua e là (lo so, non ha alcun senso), Garcia può resistere solo qualche secondo, ma grazie al “colpo di luce” può accendere lampade, teste di capra (!) appese al muro, e… demoni oscuri, a cui potrà successivamente sparare per farli fuori. Definitivamente. La progressione all’interno delle aree di gioco è rigida, il percorso è molto spesso uno solo (sebbene il giocatore sia chiamato a risolvere qualche semplicissimo puzzle, di tanto in tanto), e alla fine ci si ritrova a fronteggiare il boss di turno, più o meno grande, più o meno brutto. Brutto, per lo più. Ma in tutti i sensi: il character design non brilla per originalità e non solo quello dei boss; in termini di caratterizzazione, anche i nemici “minori” sono piuttosto anonimi e acerbi. Fanno schifo, insomma. E sono pure stupidi; l’intelligenza artificiale è poco reattiva e renderà facile il loro annientamento a suon di luce e granate: basta girargli intorno.

Per fortuna, la simpatia dell’accoppiata Garcia/Johnson è in grado di accompagnare il giocatore dall’inizio alla fine; Shadows of the Damned è un gioco spensierato, da giocare senza troppo impegno: con lo stesso spirito con cui guarderemmo un film di serie B. Qualche chicca ogni tanto (vedi: le fasi a scorrimento laterale con grafica cartoon), una colonna sonora tra il metal e il mariachi, protagonisti simpatici e il gioco è fatto. La presenza di qualche difetto grafico (le texture spesso si caricano in ritardo, solito problema targato Unreal Engine) e di alcuni intoppi nel controllo del personaggio, a volte un po’ impacciato, non rovineranno più di tanto l’esperienza. Non è un gioco magnìfico, per dirla con Garcia (e con George Clooney), ma il divertimento è assicurato.

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